La vita artificiale creata su un computer quantistico IBM
Un team internazionale di ricercatori (U.Alvarez-Rodriguez, M.Sanz, L.Lamata & E.Solano) ha utilizzato il computer quantistico di IBM (disponibile gratuitamente nel cloud per tutti gli iscritti a IBM Quantum Experience) per simulare i meccanismi tipici della vita.
I ricercatori hanno presentato su Scientific Reports la prima realizzazione sperimentale di un algoritmo quantistico per la “vita artificiale” eseguito su IBM Q5 “Tenerife”, il quantum computer da 5 qubit di IBM.
Dagli anni ’80, il settore di ricerca della ‘vita artificiale’ ha preso in esame i sistemi viventi con un approccio artificiale e sintetico, con l’obiettivo di sviluppare una migliore comprensione della vita attraverso tecniche di simulazione sempre più precise.
I ricercatori sono dell’opinione che il primo modello di vita artificiale sia stato sviluppato nel 1951 da von Neumann. Il concetto degli automi cellulari descritto come un sistema autoreplicante fu proposto con l’intenzione di sviluppare un sistema di calcolo formale universale incline a un’evoluzione illimitata. Il più famoso esempio di automa cellulare è il famoso Gioco della vita, sviluppato dal matematico inglese John Conway.
Quello che hanno cercato di realizzare gli autori dello studio pubblicato su “Scientific Reports” è una versione evoluta degli automi cellulari di von Neumann, traslata nel mondo della computazione quantistica. Rispetto alla versione classica, si sfruttano i fenomeni peculiari della meccanica quantistica (sovrapposizione degli stati ed entanglement) con lo scopo di comprendere se i sistemi quantistici microscopici sono in grado di codificare in modo efficiente comportamenti tipici dei sistemi biologici: auto-replicazione, mutazione, l’interazione tra individui e la morte.
Gli studiosi hanno, quindi, progettato ed implementato un protocollo per la “vita artificiale quantistica”. Descriviamo brevemente il modello ideato dai ricercatori, i cui elementi più importanti sono le ‘unità viventi quantistiche’ (gli ‘individui’). Ciascuna di queste unità è rappresentata per mezzo di due qubit, che chiamiamo genotipo e fenotipo. Il genotipo contiene le informazioni che descrivono il tipo di unità vivente, ed è un tipo di informazione che viene trasmessa di generazione in generazione. Lo stato del fenotipo è invece determinato da due fattori: l’informazione genetica e l’interazione tra gli individui ed il loro ambiente. Questo stato, insieme all’informazione in esso codificata, viene degradato durante la vita dell’individuo.
L’obiettivo del modello proposto è quello di riprodurre i processi caratteristici dell’evoluzione darwiniana, adattati al linguaggio degli algoritmi quantistici e del quantum computing. Il meccanismo di auto-replicazione è basato su su due eventi di clonazione quantistica “parziale”, un’operazione che mette in entanglement il genotipo, o il fenotipo, con uno stato pulito (un analogo di un pezzo carta bianca) e che copia il valore atteso (la media della probabilità di tutte le possibili misurazioni) del qubit originale in entrambi i qubit risultanti. Invece, l’interazione tra gli individui e l’ambiente emula il processo d’invecchiamento delle unità viventi fino ad uno stato asintotico che rappresenta la loro morte. Il protocollo prevede inoltre delle mutazioni, che vengono ottenute mediante rotazioni casuali sui qubit del genotipo od errori nel processo di auto-replicazione. L’ingrediente finale è l’interazione tra gli individui, che, sotto determinate condizioni (in base al genotipo), si scambiano il fenotipo. L’insieme di tutte queste componenti porta ad un consistente scenario, seppur minimo, di darwinismo quantistico. Il protocollo potrebbe essere arricchito con informazioni spaziali, quantistiche o classiche, oppure aumentando la complessità del modello considerando un insieme di osservabili più grande.
“I nostri individui quantistici sono guidati da uno sforzo adattivo che potremmo definire una specie di evoluzione darwiniana quantistica, che riesce a trasferire efficacemente le informazioni quantistiche attraverso generazioni costituite da più qubit in stato di entanglement“, hanno scritto i ricercatori nello studio.
Ora che un algoritmo per la vita artificiale quantistica è stato progettato ed implementato con successo, il prossimo passo è la scalabilità, per permettere a più individui di espandere le caratteristiche attribuite a essi. Per esempio, i ricercatori stanno lavorando alla possibilità di aggiungere delle “feature di genere” ai qubit, per esplorare ulteriormente le interazioni sociali e sessuali a livello quantistico.
Il gruppo di ricercatori, infine, sostiene che, dati i risultati incoraggianti presentati nello studio, e le prospettive di ulteriori evoluzioni (con un numero maggiore di qubit, ed espandendo le caratteristiche degli individui), la ricerca nell’ambito della ‘vita artificiale quantistica’ debba diventare uno dei filoni principali nel futuro delle tecnologie quantistiche.